acqua in sala

L’antipioggia pende dalla doccia, facendo cadere acqua nella vasca da bagno. I pantaloni invece se ne stanno appesi alla maniglia della camera. Gli scarponcini, con chiazze più scure sulle punte, sono normalmente riposti in ingresso. È venuta giù un sacco di acqua. E tanta ne verrà ancora, fra oggi e domani. Ambiente ostile, Milano. Avevo una commissione da fare, coprendo una di quelle distanze che in macchina sono poca roba ma a piedi superano i 15/20 min di cammino. La macchina è un mezzo impossibile, almeno per me che amo guidare ma amo anche lo spazio, il poter disegnare traiettorie, usare tutte le marce, impostare le curve. In città non è così. E poi dove la vado a rimettere dopo che l’ho presa?

Milano. Ottobre. Non serve aggiungere molto altro. Mentre tornavo, a piedi, verso casa mia mi è venuta in mente la campagna, i piccoli paesini, quelli dove tutto questo non c’è. Dove lo spazio non manca, incontri pochissime persone, il parcheggio non è un problema. Esistono quei luoghi, anche in un lunedì mattina di ottobre a Milano. Esistono. Ci sono. Milano ti tira dentro, ti sussume, ti fa pensare che non ci sia altro, che la vita vera sia questa qui, mentre qualunque altro ritmo, qualunque altra fruizione dello spazio è vacanza, è tempo libero, sono momenti in cui non hai di meglio da fare che curiosare fuori dalla città.

Milano te la racconta, dicendoti che è il posto più figo, più all’avanguardia, dove ci sono molte possibilità, dove “le cose succedono”. Costa cara? Certo, ma hai visto quanto ti offre?

Effettivamente ti offre lavori per i quali ti devi ammazzare di ore, per poter sopravvivere. Pensare di campare a Milano con un part time è impossibile. Quindi ci dai dentro, stai in ufficio fino a tardi, perché devi racimolare risorse per poter avere il privilegio di vivere qui. Qui dove fa spesso freddo, dove le stelle di solito non si vedono, dove i bambini (e gli adulti) si ammalano per lo smog e l’aria insalubre. Dove è difficile chiacchierare per strada, perché anche l’inquinamento acustico è insopportabile.

Giusto ieri mi sono ritrovato nella cabina elettorale. Voto a Potere al Popolo e alla sua candidata e fine. Il sindaco uscente – che poi sarà lo stesso di quello entrante – è il perfetto esempio di come coprire con una mano di verde e di accoglienza, tutta la voracità di questa città.

Abile Sala, non c’è che dire. Uscendo dalla amministrazione Moratti, è riuscito a rendersi presentabile per fare la parte del manager (oggi senza un manager dove vai?) progressista, che veste arcobaleno se serve, che va al 25 aprile, capendo che l’antifascismo – nella sua declinazione da teca, da mera celebrazione e mai da strumento di analisi sui nuovi autoritarismi – è una moneta elettoralmente spendibile. Solo come posa, sia chiaro. Tiri dentro la borghesia milanese illuminata, quella che sta in centro ma che comunque alla bisogna sfoggia un Che, dandole da un lato una soddisfazione politica, dall’altro un rafforzativo della argomentazione “se non scegli Sala sale la Lega e quella gente lì. Alla fine Sala è pure antifascista”.

Sorvolo sul fatto che l’antifascismo o si fa strumento duttile e quotidiano per riconoscere i nuovi fascismi e combatterli senza paura di sporcarsi le mani, oppure non serve a nulla. È solo una maglia indossata un paio di volte l’anno. Sorvolo su questo perché sarebbe un argomento a sé stante, da analizzare e capire bene. Qui voglio solo sottolineare il fatto che mai come in questi anni il riferimento a certi valori della Liberazione è a tratti quantomeno contraddittorio. Non posso concepire un antifascismo che celebra Expo, macchina di cementificazione e sperequazioni, che sventra un territorio, lo sfrutta intensamente per qualche mese e poi lo abbandona. Invito a farsi un giro su cosa c’è nell’area Expo oggi: quando veniva fuori l’argomentazione “ma di quell’aria, passata l’esposizione, che ce ne facciamo?”, la risposta era una supercazzola sulle aree polivalenti e riqualificate, si nuovi poli universitari, sui centri direzionali e amministrativi e via concionando.

Logiche predatorie non possono in nessun modo conciliarsi con l’antifascismo.

Non posso concepire nemmeno un antifascismo che esulta in modo scomposto per le Olimpiadi invernali Milano – Cortina, ignorando il fatto che da vari lustri ormai le Olimpiadi sono l’occasione per costruire infrastrutture che non servono in alcun modo la collettività. Né durante la manifestazione sportiva, né – tantomeno – dopo. Anche qui invito ad andarsi a vedere cosa ha lasciato Torino 2006.

La decisione di destinare vastissime aree di suolo pubblico ad interessi privati, togliendo anche quel poco che di sociale in codeste aree si era riusciti, con fatica, a costruire, mi chiedo come possa, al di là delle dichiarazioni, coniugarsi con una politica di sinistra.

Milano è anche questo. La voglia di dire che il Re è nudo e venire preso a sberleffi.

Anni di questa cultura e la difficoltà di distinguere cosa ha un valore socialmente riconoscibile e cosa assolutamente no, è sempre maggiore. Anni di martellamento individualista hanno imposto come metro di valutazione il proprio orizzonte individuale, il proprio giardino. Quindi le valutazioni spesso si riferiscono al fatto che ci sono più piste ciclabili, quindi ci metto meno per arrivare al lavoro, quindi bene. C’è lo sharing per i mezzi, quindi mi muovo meglio, non faccio tardi. Che poi tu magari ti stia svenando per pagare un affitto o un mutuo, sottostando a prezzi da bolla immobiliare (e pure culturale), lo si prende come un dato di fatto, un qualcosa sul quale si può fare poco. Difficile far capire che sono proprio quelle realtà di quartiere, quei comitati, quelle esperienze di lotta a fare da tramite verso il vero interesse generale.

Un sintomo abbastanza chiaro di questo ribaltamento di prospettiva, è rappresentato dal fatto che i vari comitati a salvaguardia dei parchi cittadini, ma anche più in grande, movimenti come No Tav, vengano accusati di avere prospettive limitate relative solo al proprio giardino, da cui l’accusa di essere Nimby, cioè “not in my back yard”. In realtà è il contrario, perché è opponendosi ad una ingiustizia sul proprio territorio che si crea la connessione con altre ingiustizie su altri territori, individuando dopo poco – e la storia di questi movimenti lo dimostra – come il problema sia sistemico e cioè sia il capitalismo, la logica del profitto che pervade ogni grade opera. Per inciso, in molti casi, come appunto la Torino – Lione, l’opera finita e funzionante non interessa a nessuno dei promotori. Il profitto viene estratto dal sistema degli appalti, mentre il dispiegamento di forze dell’ordine in campo per arginare la protesta, rappresenta sempre una buona palestra per scoprire nuovi sistemi di militarizzazione del territorio.

Ha ripreso a piovere. Fra non molto mi ributterò fra queste strade, queste pozze, questo traffico e questo grigio.

Cerco di non confondere i piani: il mio essere intollerante nei confronti della vita in città e la voglia di vivere in una casa sperduta in un bosco o – meglio ancora – davanti al mare senza nessuno intorno se non i miei affetti, non c’entra con la valutazione politica di questa amministrazione e, più in generale, con questa cultura amministrativa.

Sì, a volte sbaglio la misura e una giornata particolarmente pesante mi fa tirare in mezzo i tram affollati, il freddo, lo smog, Sala che si spaccia per compagno, il 25 aprile aperto pure a chi sta stroncando nel sangue un’altra Liberazione in corso ormai da decenni in medio oriente.

Torno a casa e mando a ‘fanculo tutti, indistintamente.

A volte invece, mentre i miei vestiti lentamente asciugano, mi metto a fare ordine.