quando posso, come posso

Ieri il giorno di febbraio da segnare sul calendario. Ovviamente non è un giorno preciso, non è sempre lo stesso. È quel giorno in cui senti il calore, il primo calore. E solitamente capita in febbraio.
In “Amarcord” si bruciava sulla pubblica piazza la strega dell’inverno ed erano tutti imbacuccati e sorridenti.
Il giorno è tiepido, ma la sera…beh, la sera la paghiamo. Nebbia, freddo, acqua sospesa. Ti affacci e non vedi nulla, nemmeno quello che poche ore prima ti pareva famigliare. Non molto altro da fare se non fumare un po’ e andarsene sotto le coperte, ché Guccini è finito e, dopo tanti anni, Hunter Thompson è tornato. Si vede che bisogna morire per essere pubblicati. In Italia, parlo di 10-15 anni fa, c’era solo “Paura e Disgusto a Las Vegas”. E basta, mi pare. Il suo libro sugli Hell’s Angels ho dovuto faticare per trovarlo. Come spesso succede, la Shake edizioni non delude.
Poi Thompson si è suicidato nel 2005 e allora via di pubblicazioni inedite, almeno per noi: qualcuno mi ha detto che, nelle librerie si San Francisco, di libri suoi ce ne erano “un botto”.
Ma prima è venuto Guccini. Sì, perché dopo l’avventura con Allen, “Come si diventa nazisti”, avevo il bisogno di andare un po’ sul semplice. Su qualcosa che scorresse via.
Lessi “Cronache Epifaniche” che ero un ragazzino. Ero stato folgorato da Guccini. Mi piaceva quello che diceva nelle sue canzoni, mi piaceva quello che diceva nelle interviste. Non fu una lettura facile, infatti non ricordo granché.
“Tralummescuro” è il suo ultimo libro. Mi è stato regalato a natale; ha dovuto dare la precedenza sia ad Allen sia ad un libro celebrativo dei 50 anni dalla rivoluzione sovietica. Poi è arrivato il suo momento.
Tralummescuro è l’ora del tramonto. Un po’ prima del tramonto vero e proprio. Il momento della luce che piano piano se ne va, lasciando una atmosfera sospesa, dolce, vagamente malinconica.
Guccini racconta della vita nel suo paese, Pavana, appennino tosco emiliano. Racconta di un mondo che non c’è più. Non si parla di abitudini, di inclinazioni. Si parla proprio di un mondo: niente acqua calda, si mangia quello che c’è e, ogni tanto, la fame fa capolino. Niente frigo, spostamenti a piedi sulle mulattiere. Non è semplicemente uno stile di vita, una preferenza. È un modo di vivere dettato da condizioni profondamente diverse.
Guccini resta un grande. Non ho trovato traccia di “ai miei tempi era un’altra cosa”. Cioè: sì, era un’altra cosa, ma non è che questa frase abusata venga scritta sottointendendo – come spesso mi capita di sentire – che era anche meglio. Era diverso e basta. È una considerazione.
Mulattiere non più utilizzate inghiottite dalla vegetazione, gente che va via dal paese, case in vendita.
Ancora più ammirevole Guccini: non è che quel mondo è finito perché ci si è fatti vecchi e ora ci sono i giovani. Questo sarebbe normale, la ruota del tempo. Qui è diverso: Guccini è l’ultimo o uno degli ultimi ad aver vissuto e respirato a fondo un mondo che non c’è più. Sta scomparendo. Non si parla di valori persi. Quello è una conseguenza. Mancano le persone, proprio fisicamente non ce ne sono più .
Ripenso a quante volte ho sentito, spesso da gente più giovane di me, che oggi i ragazzi non sono come noi alla loro età. “Maleducati, arroganti, privi di valori” e via di cazzate consolatorie, per essere sicuri che la nostra giovinezza è stata diversa, ha avuto più valore, è stata più vissuta. Forse solo perché oggi sono tutti sullo smartphone, o perché non ascoltano la musica che ascoltavamo noi.
Considerazioni campate per aria, atti di accusa verso realtà che non si conoscono, ma semplicemente “ci si è fatti un’idea guardandosi attorno”. È il solito mischione fra vissuto personale e pseudo riflessioni generazionali. Un tutt’uno indistinto. Miscellanea auto assolutoria, figlia di una esistenza priva di reali punti di riferimento.
Guccini, in “Tralummescuro” è testimone di un mondo che non c’è più. In quel mondo ci è cresciuto, ci si è sporcato, punto, sbucciato. Poi si è allontanato per andare a suonare la chitarra in città. E ora è di nuovo lì.
Se in questo libro c’è malinconia è proprio nascosta, come un condimento leggero leggero che senti solo come retrogusto, quando hai andato giù il boccone. Per il resto è una testimonianza, viva, vissuta, sentita. Il suo appartenere a quella cultura contadina e montanara è un dato di fatto, talmente sentito da non aver bisogno di fare confronti con l’oggi.
Le vere appartenenze sono sicure. Se ne fottono dei confronti. Ci sono e basta. Non hanno l’urgenza di trarre classifiche e conclusioni.

Quanto a me mi sono goduto un pochino questo sole leggero, questo cielo mosso da un vento freddo.
Guardo in alto, fra i palazzi, e vorrei andare chissà dove o forse vorrei solo stare in giro con le mie donne.
Per il momento resto. Pianifico la prossima partenza, in modo che tutto vada bene.

Buon febbraio
il mese del “non ancora, ma manca ormai poco”

Autore: scartafaccio

"produrre il necessario distribuire tutto"

2 pensieri riguardo “quando posso, come posso”

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