Gamificazione, working class, foibe

Cazzeggio lavorativo. Apro youtube e vago. È proprio vera la questione della “gamificazione”. Si innesca la dinamica della slot machine, del videopoker. Schiacci, aspetti un secondo, rischiacci. Sete di numeri e simboli. Attendi il premio. Così come il like sul social. E continui ad aggiornare.
Ho capito che è così anche se non ho mai giocato al videopoker, non ho Facebook, e il mio uso dei social è limitato a Twitter (sempre meno) e Mastodon, che però mi piace proprio perché esula da quel meccanismo di botta e risposta, di sentenze sparate. E poi la qualità dell’utenza è sicuramente un’altra.

Prima
Una pausa sigaretta. Parlavo con il batterista del mio gruppo, che, casualmente, lavora nello stesso palazzo in cui lavoro io. Quando ci vediamo il contesto scompare e siamo in sala prove, su un palco, in uno studio di registrazione fuori milano, quasibrianza. Del contesto ci frega veramente poco. Siamo diversi, ma abbiamo entrambi bisogno di aria, di rock, di Beatles e di tutto quello che secondo noi suona bene.
Concordavamo sul fatto che il social “gamifica”, restituisce una fallace partecipazione. Tutti esperti e, al contempo, tutti privi di preparazione. Ma tanto non serve. Ci si arriva con l’intuito, con il buonsenso. Chi affronta un problema con specifiche competenze è uno che nasconde qualcosa. Sicuro.

Non troppo tempo fa.
Un genitore, fuori dalla scuola, mi dice che i giovani di oggi sono maleducati.
Rispetto a cosa?
A come eravamo noi
Su che basi?
mi guardo intorno, li vedo
non è un campione valido
nessun campione è valido
certo che sì: si può ponderare e puoi stimare l’errore. In base al campione
chi lo dice?
la statistica
per me non conta. Conta solo se intervisti tutti
quello si chiama censimento
Quella conversazione mi stava dando la fastidiosa sensazione di insegnare qualcosa a qualcuno. Mi poneva su una cattedra che non volevo assolutamente. Ho troncato. Avrà pensato di avere ragione. Tempo fa mi ci sarei amminchiato. Ora non mi interessa. Sbaglio, ma non mi interessa.

Poco fa.
Vado al piano sopra dove c’è la cucina. Ho un paio di cialde per farmi un caffè. Ne porto sempre due perché spesso una viene inghiottita dalla macchinetta senza erogare alcunché. E se non ne ho due mi tocca rifare le scale. Questa volta va al primo colpo.
Arriva un ragazzo che lavora qui. È uno che non avevo mai inquadrato bene e tutt’oggi qualcosa di lui continua a sfuggirmi. Però, trovandoci a parlare durante le pause, ho capito che è un compagno. È stato lui a consigliarmi i video di Federico Frusciante su youtube. Uno in particolare. Mi pareva uno insulso, invece ci sta dentro. Del resto mi devo fidare di più di chi ha tatuato sull’avambraccio “working class” con due martelli incrociati. Ormai parliamo solo di politica quando ci vediamo. Mi pone subito un quesito:
sai, sono indeciso se sperare in un gruppo terrorista che colpisca in modo mirato, o se sperare in questi virus così da radere al suolo tutto
io sono per la prima – gli rispondo – anche se, leggendo quanto scritto da Enrico Fenzi, forse l’unico intellettuale nelle Brigate Rosse, se decidi di usare la violenza devi avere assolutamente chiaro quello che vuoi fare, quale è il tuo piano, quali sono i tuoi obiettivi a lunga, corta e media scadenza. Altrimenti è peggio ed è meglio non usarla
ah sì, Fenzi. Mi pare abbia scritto un libro
Armi e Bagagli. Consigliatissimo

Il compagno-collega con tatuato “Working Class” sull’avambraccio ha ragione. Il dubbio che lui si è posto penso se lo sia posto chiunque abbia una coscienza politica degna di questo nome. Declinato in modi diversi, l’essenza è sempre quella. Si usa il tempo per spiegare, per fare le cose in modo oculato, oppure si va con lo spadone e fine della storia? (tenendo sempre conto, proprio perché si conosce la Storia, che lo stesso spadone può fare fuori anche te).
Non ho voglia di spiegare. Per vari motivi. Il primo è che costa fatica. Non è il primo motivo in ordine di importanza, ma in ordine di immediatezza. Quando penso “ma questo cosa ha in testa? Quale ragionamento potrebbe colpirlo? Quale esempio chiarirebbe il mio punto di vista?” mi sento già stanco. Penso a tutte quelle persone con una testa tanta e inizio a pensare che voglio parlare solo con loro. Stanco e colpevole perché il “tanto cosa vuoi che capisca?” ha una stretta parentela con “tanto non cambia mai niente”.
Poi arrivano altri problemi: come fare in modo che le tue parole non arrivino ex cathedra, come non scadere nel nozionismo, come non mandarlo a ‘fanculo.
Una fatica che il vero militante farebbe sempre.

Io non lo sono. Mi piacerebbe esserlo. Mi limito ad avere una prospettiva sempre dal basso.

A tal proposito fra poco sarà il 10 febbraio. Il giorno del ricordo dei martiri delle foibe. Una canea di cazzate e falsi storici Un nazionalismo pret a porter basato su un falso e fastidioso vittimismo.
Discorsi sulla pulizia etnica ad opera degli jugoslavi nei confronti degli italiani che avevano la sola colpa di essere tali. Persino il padre della patria Napolitano usò il termine “pulizia etnica” parlando di una lotta di liberazione. Una lotta contro i burattini fascisti e i burattinai nazisti.
Vi piacerebbe molto, a tutti voi patrioti d’occasione, che fosse andata così. Ma così non è andata. Si lottava contro un nemico violento e sopraffattore, che aveva un piano ben preciso. Si lottava tutti insieme, antifascisti italiani, partigiani di Tito, oppositori di ogni colore e razza, perché non ce ne frega nulla della provenienza. Ci frega contro chi si combatte e cosa si vuole costruire.
Dentro a queste vostre linee di demarcazione frontaliere disegnate su una mappa, vorreste mettere insieme il ricco e il povero, lo sfruttatore e lo sfruttato, il padrone e l’operaio, così che i primi possano continuare a vessare i secondi.
Quando parlate di foibe e di sterminio – citando cifre a cazzo, senza fonti, frutto del “sentito dire” – state parlando di una lotta combattuta contro il nazifascismo. State parlando di popolazioni occupate da un giorno all’altro dall’esercito fascista che si sono trovate a non poter più parlare la loro lingua, a dover “italianizzare” (ma che cazzo vuol dire?) il proprio nome. Persecuzioni e vessazioni di ogni tipo contro chiunque non accettasse di non essere più slavo ma italiano. Quando abbiamo iniziato a vincere e voi schifosi vi siete ritirati alla bell’e meglio, cosa pensavate che vi sarebbe successo? L’avete pagata: avete pagato la vostra arroganza, la vostra cultura di sottomissione e di morte. Fatti i conti – quelli veri, quelli giusti – non l’avete pagata nemmeno troppo cara.

Io sto con i partigiani. Sto con chi ha combattuto i nazisti (i fascisti andavano a ruota dei tedeschi: in realtà non hanno mai deciso niente autonomamente) .
Non mi interessa di che nazionalità fossero né a quale etnia appartenessero.

Questo non lo capirete mai.
O forse, quando lo capirete, per voi sarà tardi.

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Autore: scartafaccio

"produrre il necessario distribuire tutto"

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