Un post qualunque

Ricordo uno striscione degli studenti della Bicocca.
Faceva caldo quel giorno. Non ricordo perché fossi lì. Forse è successo nel periodo in cui in Bicocca ci lavoravo.
Lo striscione diceva: “il sapere non è fatto per conoscere, ma per prendere posizione”, firmato Michel Foucault.
Foucault che dovrei leggermelo bene, Foucault che dovrei studiare. Conosco le sue teorie, ma posso dire che ne ho una infarinatura. So in quale contesto si inseriscono e di cosa parlano. So quale è il pensiero che ci sta dietro, ma non lo ho studiato. Dovrei farlo, anche perché quel poco che ho letto mi ha affascinato. Tutto il discorso sul controllo, sul fatto che non è necessario che in una società iper controllata, ci sia effettivamente qualcuno a controllare. Basta dare questa idea. Il singolo non saprà se effettivamente in quel momento stanno controllando proprio lui. Quindi si comporterà come se così fosse, quindi starà all’interno delle regole, quindi sarà docile (e questo l’ho letto nel bellissimo “Realismo Capitalista” di Mark Fisher). Il concetto è quello del Panopticon, il nome dato al “carcere ideale” (1791). Una struttura all’interno della quale tutte le celle sono rivolte verso il casotto del guardiano. Il guardiano vede ogni cella. Da ogni cella è possibile vedere solo la postazione del guardiano. Il carcerato non saprà mai se il guardiano in quel momento sta guardando lui o qualcun altro, quindi si comporterà come se così fosse.

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Ecco: più o meno questo so. Seppur riassunto, quest’è.
Quella frase riportata dagli studenti della Bicocca mi colpì. Infatti me la ricordo ancora.
Qualche giorno fa ho iniziato a ragionarci su per sottrazione. Mi piace ragionare per sottrazione: è un modo per vedere le cose da angolature opposte.
Se il sapere serve per prendere posizione, mi sono chiesto cosa accade a chi non sa. Non prende posizione.
Ne ho di esempi così. Spesso vedo persone che galleggiano. Non leggono e non hanno una posizione. Non una precisa. Se proprio pungolati allora ne approntano una, frutto di buonsenso, ragionamenti che non si chiudono, pensieri che non vanno a fondo. Fin qui tutto ok. Non sanno. Non si schierano.
Da qui però parte una diramazione, che, sulle prime, mi aveva portato a valutare il mio ragionamento per sottrazione come erroneo. È pieno di pareri e prese di posizione frutto della non conoscenza.
Una settimana è passata dallo sciagurato “giorno del ricordo”. E di posizioni ne ho sentite. Con il piglio di chi finalmente si può togliere un peso, dire la sua, rompere il giogo della cultura dominante che ha “oscurato la tragedia delle foibe”; manifestazioni bipartisan hanno riempito giornali e tiggì.
Da dove nascono quelle posizioni? È gente che non sa, ma che si è schierata. Forse allora non è vero.

Invece è vero. O almeno mi pare.
Mi pare di vedere un prodotto politico nato apposta per questo genere di posizione. La posizione di chi non sa, di chi non ha voglia di leggere, di chi non è avvezzo all’approfondimento, ma al contempo non prova alcuna deferenza nei confronti del dibattito pubblico; parlo di quella deferenza doverosa, che è frutto del riconoscimento del sapere altrui e che si pone in una prospettiva di scambio con l’interlocutore.
Un prodotto politico tutt’altro che nuovo. Dal 1946 al 1945 visse il Partito dell’Uomo Qualunque, che ottenne un buon successo alle elezioni regionali siciliane del ’47 (quasi il 15%). I suoi punti di forza erano l’antipolitica, un liberalismo conservatore e un acceso anticomunismo. Faceva leva sulla semplificazione delle cose, insinuando l’idea che l’approfondimento fosse un sistema per nascondere la realtà, un modo per raggirare il popolo e, di conseguenza, non dare seguito alle sue sacrosante istanze “de panza”.
Andando indietro, anche il fascismo nacque e si presentò come antipolitica: un programma spiccio per fermare i rossi, per rimettere ordine, per usare il pugno di ferro contro gli scioperi che imperversavano. Il fascismo non si presentò come una dittatura – lo racconta brillantemente il prof. Canfora in “Fermiamo l’odio” – ma piuttosto come un sistema liberale in versione forte ed autoritaria. Di conseguenza tutta la sua antipolitica, il suo ricorrere a soluzioni semplici e immediate, fece presa senza far sì che chi vi aderisse si ponesse il problema di star sostenendo una dittatura. Si era semplicemente stufi di tutto quel caos e Mussolini e i suoi erano la risposta più ragionevole ed immediata.
Ai giorni nostri il Movimento 5 Stelle è il partito che ha rappresentato nel modo più esplicito il tema dell’antipolitica e della semplificazione, con i risultati recentemente visti. Lo stesso fa la Lega che, pur non parlando apertamente di antipolitica, offre soluzioni semplici ed efficaci che, come schema, si basano sempre sul fenomeno così come appare: contrasto del fenomeno, possibilmente con la forza, senza chiedersi come mai quel fenomeno si verifichi. (esempio: fermiamo l’immigrazione, ma non chiediamoci mai perché le persone migrano) .

In tutti i casi citati, le persone si schieravano. A seconda delle circostanze anche in modo esplicito, con furore, sicuri di star prendendo posizione. Per fare questo serve il prodotto politico giusto.
Foucault ha ragione? Certo che ce l’ha, altrimenti non si spiegherebbe la necessità di avere dei prodotti politici che diano la illusione di stare partecipando, di schierarsi. Tutta quella massa che non sa e che quindi non si schiera, deve avere un peso politico. È una miniera di voti fondamentale per fare sì che le cose non cambino e che gli interessi dominanti restino tali e siano garantiti.

Autore: scartafaccio

"produrre il necessario distribuire tutto"

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